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Self publishing, un mondo da (ri)scoprire?

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Mi autopubblico o non mi autopubblico? Questo è il dilemma. Prendo spunto da una chiaccherata con un’amica per approfondire con voi il tema del self publishing.

Racconti in cerca di un editore (forse)

Di recente un’amica mi ha chiesto indicazioni per pubblicare in autonomia alcuni racconti in un piccolo libro oppure in un ebook. Le ho suggerito qualche strada percorribile – mettendo un attimo da parte la possibilità di crearsi un bel pdf – e le ho accennato di self publishing, con la premessa che sono una grandissima e incorreggibile curiosa ma che non sono affatto un’esperta del settore.

E allora, mi direte voi, che cosa vieni a raccontarci oggi?

Di scintille e di altre storie

Vi spiego subito. Quando non conosco bene una cosa, ma questa stessa cosa mi lancia dei segnali del tipo «Ehi sono qui, con me potresti fare questo e questo e quest’altro, magari non proprio domani ma tra qualche anno, interessante vero?» il mio cervello comincia a lavorarci senza chiedere il permesso e mi fa capire che devo – subito o prima di subito – approfondire la questione.

Per questo motivo ho deciso di riprendere qui sul blog il filo del discorso avviato con la mia amica e di stendere una piccola riflessione sul mondo del self publishing, condividendo quello che di nuovo ho scoperto e che probabilmente alcuni di voi conoscono in tutto o in parte. Non è una trattazione esaustiva – non potrebbe esserla – e anzi chiedo a voi di condividere nei commenti le vostre esperienze in merito.

Autopubblicazione: che cosa significa

L’idea che mi sono fatta è più o meno questa. Innanzitutto, da diversi anni si sente parlare della procedura di self publishing, detta altrimenti autopubblicazione, e da subito si sono contrapposti gli schieramenti a favore o contro, in un contesto estremamente complesso – che qui non è funzionale analizzare – in cui l’editoria tradizionale ha mostrato, detto molto in sintesi, tanti segni della necessità di evolversi.

Estrapolo alcune indicazioni che ho trovato interessanti in un articolo de Il Post di gennaio, che vi linko appena sotto:

Il self-publishing è esploso intorno al 2009 con il lancio dei primi lettori di eBook di massa, il Kindle di Amazon e il Nook di Barnes&Noble. Quando, subito dopo, gli eBook auto-pubblicati hanno cominciato a fare numeri importanti nei mercati di lingua inglese, i grandi editori se ne sono accorti e ci si sono buttati. Quella fase sembra terminata, anche in Italia.

Sempre a proposito di self publishing:

La sua vera novità consiste nel fatto che l’autore non divide i diritti con un editore, ma segue il libro in tutte le sue fasi, dalla scrittura alla scelta di titolo e copertina, decidendo se tradurlo e in quali lingue, come distribuirlo, pubblicizzarlo e venderlo. Al momento riguarda quasi esclusivamente il digitale, ma presto potrebbe cambiare anche il modo di fare libri di carta, i cui costi stanno rapidamente calando.

Fonte: Tutto sul self-publishing, Il Post, 11 gennaio 2016

Ciò significa – e qui vedo il maggiore interesse – che, paradossalmente, per creare un’opera autopubblicata occorra una professionalità di alto livello e non il suo contrario, e che sia necessaria una mole di lavoro affine – pur se non identico – a quella occorrente per un’opera di editoria tradizionale.

Self publishing, i contro che diventano pro

A questo proposito passerei ad analizzare i contro, ben espressi da Daniele Imperi nel suo post, incentrati soprattutto sulla necessità di svolgere un lavoro professionale in particolare a livello di qualità del testo. Vi inserisco un estratto e subito sotto il link al post:

Negli ultimi tempi gli autori che abbandonano le speranze di essere pubblicati da una casa editrice sono aumentati. In alcuni casi si dedicano al self-publishing anche autori che neanche hanno provato a farsi pubblicare da un editore: semplicemente hanno pensato che essere autori indipendenti fosse la soluzione giusta.

Fonte: Errori che continuo a vedere nel self-publishing, Daniele Imperi, 23 marzo 2016

Inutile dirvi che la mia immaginazione ha la meglio e corre a mille: in tutti questi no – che condivido concettualmente – io intravedo dei sì e delle opportunità da tenere in considerazione.

Quindi chiedo: vale la pena caricarsi di tanto lavoro per un prodotto di self publishing, a costi più o meno elevati, non solo in termini economici ma anche in termini di tempo investito?

Un lavoro professionale

Certamente non è necessario partire con un’opera in tredici volumi o con un’enciclopedia universale, ma non è questo il problema principale. Ciò che conta è voler fare un lavoro serio, professionale, anche molto piccolo ma estremamente curato sotto ogni aspetto, dalla progettazione alla distribuzione.

A questo proposito, sempre Daniele Imperi indica con molta lucidità, in un post di circa un anno fa, ciò che può offrire una casa editrice e ciò che il mondo del self publishing generalmente non garantisce. Ecco l’estratto e, a seguire, il link di riferimento:

Chi decide di pubblicare in self-publishing deve rimboccarsi quelle maniche, tirarle bene su e prepararsi a un lavoro differente e maggiore. Quanti autori hanno il tempo e anche la voglia di dedicarsi alla propria opera dal punto di vista editoriale?

Lo scrittore medio si dedica al suo libro dal solo lato artistico, letterario. Quello, poi, che gli compete. Ma, autopubblicando un libro, bisogna trasformarsi in editori di se stessi. E questo richiede impegno, un impegno che non tutti gli autori sono in grado, per mille motivi, di prendere.

Fonte: 7 motivi per non scegliere il self-publishing, Daniele Imperi, 12 maggio 2015

Detto ciò, la partita per la scelta tra il sì e il no rimane aperta su tutti i fronti.

I principali servizi di self publishing

Per completare il quadro ho cercato informazioni più precise su una strada effettivamente percorribile per una persona che voglia fare della scrittura di libri il suo lavoro, e ho trovato un elenco davvero molto ricco e approfondito dei principali servizi di self publishing nazionali e internazionali, collocato all’interno di un portale curato da un professionista esperto proprio in questo campo. Trovate anche consigli per non cadere in truffe o più in generale per declinare richieste non giustificate. Ecco un estratto e poi il link alla pagina:

Sempre più persone si stanno interessando al self publishing. Molte di loro, però, girano la Rete alla ricerca di notizie per poi imbattersi in improbi articoli redatti da chi, i servizi di self publishing, non li ha mai visti nemmeno in penombra.

Per questo ho deciso di redigere questa sorta di guida: in modo che chiunque possa farsi un’idea di cosa caratterizzi un servizio di self publishing e di quali siano i servizi più affidabili, nel Bel Paese e all’estero. Perché scrivere per il Web e sul Web si sta trasformando, sempre più, in un vero e proprio lavoro in grado di produrre guadagni importanti.

Fonte: I migliori servizi italiani e stranieri di self publishing, Roberto Tartaglia

Personalmente, sia per i libri in cartaceo sia per gli ebook, avevo sentito parlare di Lulu e di pochi altri. Ho approfondito la ricerca e ho appreso che ad esempio attraverso Lulu – ma non solo – è possibile vendere i propri libri sulle principali piattaforme on line, una volta valutati molto bene le condizioni e i costi necessari.

Giungo alle conclusioni. Alla luce delle informazioni che ho reperito e dell’interesse che suscita in me il settore dell’autopubblicazione, ritengo che la scelta di pubblicare un libro in modalità self publishing dipenda in primo luogo dalla tipologia e dalla qualità dello scritto.

Autopubblicazione: uno strumento da valutare?

A seguire andranno valutati gli obiettivi del lavoro, tra cui l’uso che se ne vuole fare, e qui per chiarezza indico due estremi che si trovano su una linea di possibilità quasi infinite: si va dal regalo per pochi (clienti, familiari) fino alla scelta della massima diffusione, attuabile quest’ultima sia nella modalità libro cartaceo e/o ebook gratuito (in tal caso potrebbe essere una risorsa per siti web) sia nella modalità a pagamento se si opta per un approccio di tipo imprenditoriale.

Che dite, il self publishing potrebbe essere uno strumento da prendere in considerazione sia per gli aspiranti scrittori, sia per progetti differenti?

Se l’articolo vi ha interessato ditemelo nei commenti e condividetelo dove preferite. Se volete raccontare la vostra esperienza e il vostro punto di vista vi aspetto qui sotto. Grazie!

Di Federica Segalini

🌱 Allenatrice di voce scritta. Ex copywriter ed ex ghostwriter, ti accompagno a scrivere in concretezza. Valori, identità personale e professionale, sguardo sul mondo sono la tua voce unica: trova la tua voce scritta.

3 risposte su “Self publishing, un mondo da (ri)scoprire?”

Sai cosa non si prende mai inconsiderazione. Se non è mai, decisamente poco? Il crowdfunding, che magari potrebbe permettere agli autori di pubblicare anche il cartaceo. Ad oggi, ci sono anche piccole case editrici che decidono di avviare progetti in crowdfunding, soprattutto per poter pubblicare libri di autori stranieri, per i quali si pone anche il problema della traduzione. Che il self-publishing sia impegnativo non c’è dubbio, ma che essere pubblicati da case editrici medie e piccole lo sia altrettanto è chiaro ed evidente. D’altra parte, molti scrittori hanno in mente realtà editoriali chiuse e invece la mia esperienza di lettrice dice che esistono tanti emergenti che hanno trovato spazio in case editrici medio-piccole, che negli ultimi anni stanno facendo parlare di sé. Penso a NN e Tunuè, la quale da poco s’è aperta alla narrativa. Tentare di farsi pubblicare dalle case editrici non nuoce, vale la pena tentare. Sai perché lo penso? Perché il self-publishing è recepito male da una fetta di lettori, forse anche molto consistente, che crede che il libro non meriti, se è stato auto pubblicato. Inutile che aggiunga anche che promuovere se stessi in quanto scrittori e il proprio libro dovrebbe essere pratica consueta!

Grazie Bruna per il tuo approfondimento! Credo anch’io che il crowdfunding sia un’altra strada importante. E non escludo in nessun modo le case editrici, in particolare le piccole, dove spesso si trova una qualità molto alta. Credo in generale che provare più strade senza escluderne a priori nessuna possa portare a conoscere percorsi inaspettati e anche, perché no, buoni risultati.

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